Nell’anno del 2011 Charlie Brooker, autore della maggior parte degli episodi della serie antologica inglese Black Mirror, assiste alla messa in onda di uno degli episodi più struggenti dell’intera stagione: Torna da me. Quest’ultimo, il primo episodio della seconda stagione, vede protagonisti Martha e Ash, una giovane coppia che si trasferisce in una vecchia casa di famiglia. Essendo Ash un ossessivo della documentazione social, non perde occasione di registrare video, audio e fotografie che testimonino la sua vita e la sua vita amorosa con Martha. Il giorno dopo il trasferimento, a causa di un tragico incidente, Ash perde la vita e Martha decide di affrontare il lutto in una maniera che, agli occhi degli spettatori contemporanei, può risultare veramente macabra: partecipa ad un programma che consente ad un software l’accesso all’archivio digitale del defunto compagno, per ricrearne la personalità, prima sotto forma di audio e, in seguito, sotto forma di androide.
Un’esperienza raccapricciante che riporta per un periodo Martha ad un nuovo contatto con la realtà: lei ha dimensionato la sua esistenza sulla base di una persona persa ma ricreata grazie ad un surrogato che emula il comportamento di un caro. È veramente questo il futuro che ci attende? Un futuro in cui pur di non affrontare la paura ci plachiamo con dei sostitutivi tecnologici? Martha, a conclusione dell’episodio, capisce veramente quanto la scomparsa del suo amato non si potesse sostituire con niente al mondo se non che con un ricordo ideale, indelebile, che non da false illusioni perché privo di muovere comportamenti che il vero amante non avrebbe ricreato.
L’episodio affronta tempi su più fronti, tra cui il più importante che si rintraccia in quello che è l’accettazione della morte di una persona amata e persa, fisicamente, per sempre.
“I met you”: uno sguardo al presente
“Ti ho incontrato” è proprio il titolo di un video pubblicato nel Febbraio 2020, in cui una donna sudcoreana, Jang, interagisce con la bimba Nayeon, scomparsa nel 2016 a seguito di una malattia incurabile. Un traguardo tecnologico importante, dalle implicazioni enormi che fa riflettere e discutere molto su cosa significa lavorare sulla sofferenza. La separazione tra figura genitoriale e figlio è da sempre un’attività drastica e, la Munhwa Broadcasting, ne ha riprodotto fedelmente le forme con un prodotto visivo che ha aperto questioni su due fronti: Se da un lato risulta amorevole l’idea di poter dare un ultimo saluto ad una persona che non c’è più, dall’altro lato sembrerebbe che il video abbia solo sfruttato la condizione dolorosa di una donna sofferente che voleva darsi un motivo per continuare a ricordare sua figlia. Questo episodio, recentemente accaduto, dimostra che l’elaborazione della perdita è da sempre padrone della coscienza di ognuno di noi. Ognuno ha una sensibilità diversa e, se da un lato la realtà virtuale possa apparire come un aiuto, dall’altro limita un vero contatto con la realtà comunemente accettata. Bisogna accettare che le persone lasciano questa terra, senza girarci troppo intono e mantenendo quella forma ideale che solo la nostra mente è capace di ricreare.
Un lascia passare indolore: il rito funebre
Un modo convenzionale ma imbattibile per salutare qualcuno che non c’è più, è il rito funebre. Questo, che non necessariamente è sempre di stampo religioso, costituisce un vero lasciapassare per chi rimane sulla terra. Ma un lasciapassare a cosa? all’idea di quella persona che ormai non farà più parte della nostra realtà fisica e materiale. Il funerale di fatto è il primo step per il superamento del lutto da parte del vivente, il quale in alcuni casi reagisce al superamento del trauma nel corso di alcuni mesi. Cattolica San Lorenzo, in questa prospettiva, è capace di offrire una cerimonia dignitosa che sappia ricreare un’atmosfera propedeutica ad un saluto leggero, senza fare troppo rumore, affinché si possano affrontare i momenti seguenti al tragico evento nella consapevolezza di aver salutato il defunto nella maniera più rispettosa possibile. Anche un rito funebre deve svolgere correttamente il suo ruolo e, se questo viene a mancare, si rischia di incorrere in spiacevoli limbi psicologici, che non prevedono una fuoriuscita facile e veloce.