Nel mondo della finanza personale, il costo dei prodotti d’investimento rappresenta un fattore spesso trascurato ma cruciale. Luca Spinelli, consulente finanziario autonomo, ha recentemente acceso i riflettori su un tema che tocca milioni di italiani: le spese occulte e sproporzionate legate ai fondi comuni di investimento. La sua denuncia, supportata da dati e osservazioni sul campo, evidenzia quanto il sistema di distribuzione dei fondi in Italia continui a privilegiare l’industria finanziaria a scapito degli investitori finali.
Secondo Spinelli, la trasparenza promessa dai documenti informativi non si traduce in una reale comprensione da parte dei sottoscrittori. Le commissioni di gestione, i costi di performance, le spese accessorie e quelle di ingresso vengono spesso comunicate in modo frammentato e con terminologie tecniche che scoraggiano la comprensione. Il risultato è che molti investitori non sono consapevoli dell’effettivo impatto che tali spese hanno sul rendimento netto dei loro investimenti.
Il paradosso dei fondi costosi e poco performanti
Una delle principali criticità sollevate da Spinelli riguarda il paradosso che vede i fondi a gestione attiva, spesso più costosi, ottenere rendimenti inferiori rispetto a strumenti passivi come gli ETF. Il problema, tuttavia, non è solo di performance, ma di meccanismo distributivo. Le reti bancarie e assicurative, principali canali di collocamento dei fondi, tendono a proporre ai clienti i prodotti più remunerativi per l’intermediario, e non necessariamente quelli più efficienti per l’investitore.
Spinelli sottolinea come questa dinamica sia alimentata da un sistema di incentivi che premia la vendita, non la qualità del consiglio. Le retrocessioni, ovvero le commissioni che i gestori dei fondi versano agli intermediari, rappresentano una delle cause principali del conflitto di interessi che mina l’integrità della consulenza finanziaria tradizionale. Secondo recenti stime, le retrocessioni possono arrivare a incidere anche per oltre il 50% del totale delle commissioni pagate da un cliente.
Un impatto concreto sul capitale degli investitori
Le implicazioni per il risparmiatore sono tutt’altro che teoriche. Anche una differenza di pochi decimi di punto percentuale nei costi annui può tradursi, su un orizzonte temporale di lungo periodo, in migliaia di euro in meno nel patrimonio finale. Spinelli evidenzia come un fondo con costi totali annui superiori al 2% rischi di erodere gran parte dei guadagni ottenuti sui mercati, specialmente in contesti di bassa crescita.
Questa erosione è tanto più subdola perché si manifesta in modo progressivo e invisibile. Gli investitori vedono crescere i loro portafogli in termini nominali, ma non si rendono conto che avrebbero potuto ottenere risultati migliori semplicemente optando per soluzioni più efficienti dal punto di vista dei costi. In questo scenario, la differenza tra un fondo costoso e uno economico può diventare determinante nel raggiungimento degli obiettivi finanziari personali.
La risposta dei consulenti indipendenti
Alla base della denuncia di Luca Spinelli c’è anche un appello a una maggiore consapevolezza e autonomia del risparmiatore. Il consulente autonomo, libero da vincoli commerciali con banche e società di gestione, rappresenta una delle poche figure professionali in grado di offrire una consulenza realmente orientata all’interesse del cliente. Spinelli sostiene che una consulenza indipendente debba partire proprio dalla riduzione dei costi inutili e dalla costruzione di portafogli semplici, trasparenti e ben diversificati.
Il cambiamento, tuttavia, non può avvenire soltanto dal lato dell’offerta professionale. Serve un’educazione finanziaria più diffusa e incisiva, che permetta alle persone di comprendere l’importanza dei costi e di valutare criticamente le proposte ricevute. Spinelli cita come esempio virtuoso alcuni Paesi del Nord Europa, dove le retrocessioni sono vietate e i consulenti sono remunerati direttamente dal cliente, in un rapporto chiaro e privo di ambiguità.
Verso una riforma del sistema
L’allarme lanciato da Spinelli si inserisce in un dibattito sempre più acceso anche a livello normativo. Le istituzioni europee hanno avviato negli ultimi anni diverse consultazioni sulla possibilità di vietare o limitare le commissioni di retrocessione. Una svolta in questo senso potrebbe ridisegnare il panorama della consulenza finanziaria, favorendo modelli più trasparenti e centrati sull’investitore.
Spinelli accoglie con favore questi segnali, ma avverte che il cambiamento non sarà rapido. Le lobby dell’industria del risparmio gestito sono potenti e resistenti al cambiamento. Tuttavia, l’unione tra professionisti indipendenti, media consapevoli e cittadini informati può costituire un motore di trasformazione capace di scardinare equilibri consolidati.
Il suo messaggio è chiaro: non esistono strumenti finanziari buoni o cattivi in assoluto, ma esiste una profonda asimmetria informativa tra chi vende e chi compra. E questa asimmetria, finché non verrà sanata, continuerà a generare inefficienze e a penalizzare chi investe per costruire il proprio futuro.